La mastoplastica additiva, si sa, e’ l’intervento ideato per aumentare il volume del seno. Attualmente è il secondo intervento di chirurgia estetica più richiesto nel mondo, dopo la liposcultura.
Oggi ci sembra perfettamente normale l’utilizzo di protesi mammarie per questo scopo ma non è stato sempre così…
Come erano le prime protesi mammarie?
Nei primi tempi, negli anni ’50, anche se l’idea di soluzione chirurgica al problema “aumento seno” era già abbozzata (si intuiva cioè che tale compito sarebbe spettato a una protesi interna) non era per nulla chiaro “di che cosa” avrebbero dovuto essere fatte le protesi. E non sarebbe stato un compito facile risolvere il dilemma.
I tentativi si moltiplicavano, i fallimenti erano all’ordine del giorno: del resto, le prime protesi utilizzate erano quanto mai fantasiose e improbabili, come spugne marine o tessuti vegetali che avrebbero dovuto, idealmente, riprodurre la stessa consistenza al tatto di una mammella normale. Danni ancora peggiori, a volte anche mortali, si provocarono iniettando direttamente silicone liquido nelle mammelle.
La causa più frequente dei fallimenti (allergie, rigetti, infezioni, ecc) era da imputare principalmente non tanto alla tecnica chirurgica quanto alla scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano la risposta dei nostri tessuti di fronte ad una sostanza estranea.
Come detto, in quell’epoca infatti si procedeva un pò empiricamente, per tentativi: gli studi e le ricerche riguardo la cosiddetta “biocompatibilità” dei materiali utilizzati in chirurgia, cioè la loro tollerabilità una volta impiantati nell’organismo umano, erano ad un livello iniziale.
Per dire, anche i semplici fili di sutura, cosi’ comuni e indispensabili in qualunque tipo di chirurgia, erano costituiti da materiali poco studiati che spesso provocavano pericolose allergie o infiammazioni post-operatorie. E’ stato grazie alle innumerevoli ricerche e studi che nel corso degli anni alcuni di essi sono stati abbandonati definitivamente, altri perfezionati, altri creati ex-novo sfruttando perfino alcuni materiali impiegati nell’industria aero-spaziale.

Protesi al silicone, finalmente…
Con l’arrivo del silicone, non libero nei tessuti ma racchiuso in un guscio gommoso e morbido, finalmente si è compiuto il passo fondamentale: dalle prime protesi al silicone che cominciavano a rispondere seriamente ai fondamentali requisiti di qualità e sicurezza sicurezza sono passati tanti anni. Oggi vengono considerate come le “nonne” o “bisnonne” della attuali protesi mammarie.
Guarda i casi prima e dopo del Dott. Lucchesi
Le nuovissime protesi di ultima generazione sono infatti progettate e realizzate secondo concetti assolutamente innovati che tengono conto non solo della perfetta bio-compatibilità dei materiali ma anche di altri fattori che ne accrescono enormemente la qualità: resistenza a traumi e al tempo, forma, proiezione, consistenza, ergonomicità, etc.
La qualità delle protesi prodotte 40 o 50 anni fa non e’ insomma lontanamente paragonabile a quella delle protesi moderne.
Si può rompere una protesi mammaria?
Uno delle complicanze più rare oggi ma più frequente in passato è la rottura spontanea dell’involucro esterno e la conseguente fuoriuscita del silicone liquido in esso contenuto. Per quanto spiacevole, non si tratta comunque di un’evenienza pericolosa: non ha infatti nulla a che vedere con i danni accennati precedentemente, quando si inietta il silicone liquido direttamente nei tessuti.
In caso di rottura infatti il silicone rimane confinato, isolato nello stesso spazio che accoglie la protesi, ben separato dai tessuti circostanti da una resistente parete di tessuto fibroso che l’organismo stesso ha provveduto a creare.
Cosa succede se si rompe la protesi mammaria?
In questi casi i sintomi più caratteristici, anche se non costanti, sono l’infiammazione, l’indolenzimento locale, l’l’indurimento o il cambio della forma della mammella. Più raramente la cosa è completamente asintomatica e inavvertita.
A chi bisogna rivolgersi in questi casi?
Sintomi come questi devono essere comunque sempre approfonditi dal chirurgo plastico che valuterà l’opportunità di un’ecografia, di una mammografia o di una risonanza magnetica, per chiarire ogni dubbio.
Se viene accertata la rottura protesica è necessario intervenire chirurgicamente per rimuovere la protesi danneggiata eliminando ogni traccia del silicone fuoriuscito prima di sostituirla con una nuova protesi mammaria.
Ma, come si diceva precedentemente, la qualità delle moderne protesi mammarie si è talmente innalzata che le stesse aziende produttrici garantiscono i loro prodotti per tutta la durata della vita proprio perché il rischio di rotture spontanee è molto remoto.
E’ comunque fondamentale che questo intervento, per quanto ormai routinario, venga eseguito sempre ed esclusivamente da medici specialisti in chirurgia plastica in strutture di eccellenza e utilizzando le migliori marche presenti sul mercato.